L’Amico Antonio Simonazzi, per gli amici Leandro.

lunedì, novembre 25th, 2013 @ 10:17AM

E’ morto Antonio Simonazzi, per gli amici Leandro.
E’ morto, stroncato da un male subdolo e atroce, cui né la scienza, né la sua tempra di lottatore hanno potuto opporre difesa.
E’ stato uno schianto: quando c’è tempesta sono gli alberi più alti del bosco ad essere colpiti dal fulmine.
E’ morto a 71 anni, al massimo delle sue capacità e io vorrei, da amico, ricordarne la figura con sobrie e costernate parole.
Antonio esce da una famiglia importante, che ha acquisito notevoli benemerenze nella storia economica di Sant’Ilario d’Enza: i Simonazzi sono tutt’ora valenti imprenditori nel campo dell’idraulica; il loro atèlier è stato un vivaio da cui sono usciti tanti imprenditori piccoli e grandi nello scorrere del tempo.
In questo contesto familiare c’è il gene delle personalità di Antonio.
La sfortuna colpisce la sua famiglia perché il padre, Leandro, un valentissimo imprenditore meccanico, muore quando il figlio è ancora bambino; una madre eroica, la mitica Signora Ines, con grandi sacrifici riesce a farlo laureare in Chimica Industriale a Bologna.
Questa temperie imprime al suo forte carattere una volontà di riscatto mai più sopita e ad assumere, per gli amici, il nome paterno di Leandro.
Ho conosciuto Leandro alle riunioni conviviali del “Lions Club di Sant’Ilario” cui avevamo aderito in qualità di Soci Fondatori, una trentina di anni fa.
Una reciproca malcelata simpatia, ci faceva trovare spesso vicini di tavola e così è nata la nostra amicizia; un’amicizia strana e paradossale perché si alimentava della complementarietà delle nostre differenze.
Di me, forse, lo incuriosiva e lo divertiva, penso, la umbratile evanescenza del mio commercio; io, in Lui, ammiravo il coraggio, il dinamismo e la sicurezza che emanava.
In pochi anni di ostinato lavoro anche grazie al fedele apporto della sua magnifica famiglia, aveva trasformato una piccola azienda di oggetti di plastica in un colosso di dimensioni nazionali con filiali in Spagna, Francia e Germania, ricevendo svariati riconoscimenti e premi ufficiali, conseguenza di una vocazione imprenditoriale di grande finezza, di una managerialità moderna volta più all’investire che a fare cassa.
Delle sue aziende non era né il padre, né il padrone, ma il propulsore naturale.
Era molto facile volergli bene, perché questo vecchio ragazzo sanguigno, col suo corpaccione e gli occhi ridenti da capitano di ventura, conservava, malgrado i suoi successi, una stupefacente umanità nei rapporti con gli altri; generoso sempre e un’autoironia disarmante.
Come dimenticare le esibizioni ribalde delle sue bretelle, l’irresistibile Karaoke a carnevale, le avventure notturne quando lui, nostro abituale conduttore, si perdeva nelle nebbiose basse alla ricerca del “President” di Correggio, nostro abituale luogo di riunione.
Sono andato a salutarlo nel letto di morte: il volto scavato dalla sofferenza, un volto di indomita fierezza.
E sia.
Gli antichi greci dicevano: “Nel mistero dell’esistenza ognuno di noi segue il demone che tiene i fili del proprio destino”.
Il tempo ci toglierà questa pena, mai la nostalgia del suo ricordo.

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